La Storia di Prato, un «cantiere» affidato a Fernand Braudel

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Lo abbiamo accennato, tra Fernand Braudel e il sindaco Goffredo Lohengrin Landini era nata una stretta amicizia. Landini provava ammirazione e grande simpatia nei confronti dello storico francese che probabilmente lo ricambiava.
L’idea di realizzare una storia di Prato era nata nell’Istituto di Storia Economica della Facoltà di Economia e Commercio di Firenze, alla fine di un seminario dedicato alla storia di Napoli. Giorgio Mori e Giampiero Nigro in un incontro con il sindaco Landini e Eliana Monarca, assessore alla cultura, discussero di tale eventualità. Erano tutti consapevoli che l’opera poteva essere realizzata e «di poter contare, con l’attività dell’Istituto Datini, su illustri studiosi che costituivano un patrimonio di ricchezza culturale e scientifica, uniti intorno a Braudel il cui amore per la Città era da tutti riconosciuto». Era il 1979 e il lorenese accettò con entusiasmo l’incarico di presiedere il Comitato Scientifico e di coordinare i ben sessanta studiosi che guidò con fermezza e lucidità. Come al solito, per tutto quello che riguardava Prato, decise di farsi aiutare da Alberto Tenenti che fu designato coordinatore.
Il progetto fu approvato dal Consiglio Comunale nel 1979. L’impegno finanziario previsto non era trascurabile, 350 milioni di lire che col tempo sarebbero ulteriormente cresciuti, ma furono soldi ben spesi perché l’opera rimane ancora oggi un importante punto di riferimento.
Si trattò di un lavoro impegnativo che si protrasse per molti anni, un cantiere di cui Braudel fu ingegnere e architetto. D’altronde gran parte dei saggi che in essa sono raccolti erano lavori su fonti inedite o poco conosciute e utilizzate; in alcuni casi fu addirittura necessaria la loro inventariazione. Con la stessa meticolosità fu individuato e scelto l'apparato iconografico (mappe, dipinti, sculture, palazzi) descritto e inserito nell’opera. Relativamente a quest’ultimo aspetto non si può non ricordare il contribuito insostituibile di Alessandro Pasquini, il colto e sensibile direttore del Museo Civico cittadino. Per tutte queste ragioni i tempi non potevano essere e non furono brevi: il primo volume uscì nel 1986 quando Braudel era già morto. Si trattò del tomo dedicato all’Età Moderna perché gli autori dei saggi dedicati al Medioevo erano in ritardo. Lo storico francese che l’aveva concepita e organizzata non poté dunque presentare l’opera, compito che toccò ad Alberto Tenenti che scrisse una breve introduzione nella quale si ispirò a quanto già sottolineato da Braudel: «Si tratta non solo della storia di Prato ma anche di quella dei Pratesi e cioè della loro storia intima». Gli altri volumi uscirono nel 1988, nel 1991 e nel 1997: in quelle occasioni non c’era più neppure Goffredo Lohengrin Landini.
L’opera si poneva lungo la scia della nouvelle histoire e dei suoi due paradigmi: tensione multidisciplinare e lunga durata, niente di più braudeliano; non a caso, è stato scritto come la finalità fosse, da un lato, quella di «cogliere le grandi linee dello sviluppo organico della comunità pratese» e dall’altro, di evidenziarne «i caratteri originali e le peculiarità oltre che le strutture portanti».