La consacrazione del rapporto a Firenze alla Facoltà di Economia e Commercio
print this pageCominciò così un intenso carteggio per definire la visita in Toscana. Melis non trascurò nessun aspetto: ne parlò con il preside Alberto Bertolino e con i colleghi che avevano «sommamente apprezzato» la decisione del collega francese di «onorare la Facoltà», comunicò che «secondo il costume della Facoltà» i giorni migliori su cui esercitare la scelta erano il lunedì, il martedì e il giovedì, chiese il tema dell’intervento per stampare gli inviti (Braudel a Melis, 17.4.1967, Melis a Braudel, 24.4.1967).
Braudel decise per il 18 maggio e lo comunicò a Federigo Melis in una lettera del 5 maggio 1967, era appena ritornato da Varsavia dove aveva ricevuto un dottorato honoris causa. In quella missiva scriveva che sarebbe arrivato a Firenze il 16 o il 17 maggio assieme alla moglie e sarebbe rimasto in città sino alla domenica 21. Allo stesso tempo proponeva per l’occasione tre possibili titoli:
- L’histoire est-elle opérationelle, c’est-à-dire, peut-elle participer à l’explication du temps présent?
- La division du travail et la croissance économique, XVe-XVIIIe siècle
- Le facteur essentiel: d’après l’exemple de l’histoire économique et sociale du XVIIIe siècle (Braudel a Melis, 5.5.1967)
Braudel tenne la conferenza, il suo titolo era emblematico: «È capace la storia di operare nel presente?». Domanda retorica da dove emerge con forza il peso che nella formazione dello studioso francese ebbero Marc Bloch e Lucien Febvre.
La sua presenza a Firenze non passò inosservata; Pier Francesco Listri gli dedicò un articolo dal titolo «Le idee di Braudel» pubblicato su La Nazione il 25 maggio del 1967. Il noto giornalista lo intervistò in casa Melis dove era ospite; da quel colloquio Braudel emergeva chiaramente come lo storico dei lunghi corsi e non degli avvenimenti: tutto è nel tempo, senza il tempo non si comprende l’uomo. Non solo, poiché erano quelli gli anni in cui si pensava di costituire a Firenze l’Università Europea, lo studioso la auspicò nella speranza che non diventasse un’operazione di nazionalismo europeo.